Nunzio De Martino / Lineari giravolte opposte.
- Nunzio De Martino
- 13 gen
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 17 feb
Osservando i lavori di Nunzio De Martino si sente un totale silenzio interiore, come se il corpo contenesse e trattenesse la calma prima che un evento naturale mutevole appaia; camminando avvicinandosi e allontanandosi dalla parete dove sono “sospesi”, le opere vi è una certa necessità ti trovare un’evocazione descrittiva, ma è la poetica che declamata enunciando alcune parole che ti portano a quel silenzio interiore che emanano queste superfici.
Come un’immersione nei suoni è la poesia decantata che risuona nei padiglioni uditivi; durante quest’ascolto, la vibrazione determina una posizione spaziale che crea un sinergetico movimento di chi guarda e decide di accogliere questo manifestarsi di sensazioni sinestetiche.
I colori nei lavori di Nunzio De Martino diventano elaborazioni metaforiche e fanno scoprire nuove parole che non sono pronunciate immediatamente; c’è il tempo della pausa dell’andare a capo e iniziare un altro verso. L’intervallo tra una superficie e l’altra non diventa un silenzio di forme ma bensì un assorbimento di materia su struttura, come quando si cerca di ammantarsi addosso all’energia che questi lavori emettono.
Quando vediamo un’opera cosa compiamo principalmente ponendoci difronte a una tela, a una scultura o un’azione performativa?
Siamo incuriositi e siamo “critici” del nostro vedere e in entrambe le sensazioni che lasciamo fluire nel corpo, il cervello decodifica e trasforma queste informazioni come un discorso che si può smarrire appena è pronunciato. Questo perché siamo consapevoli, indirettamente, che l’artista si è già distaccato dalla superficie dell’opera che ha realizzato.
Il lavoro di Nunzio De Martino è per creare opere che non rimangono ferme; quando si osservano, hanno il potere di muoversi in una fissità apparente. Vorresti pensarle ferme perché sono ancorate al telaio costruito dall’artista, ma esse hanno quella vitalità di un volo infinito di uccelli che si muovono nello spazio del cielo e lasciano, dietro di loro, una scia data dal battere delle ali che come piccoli punti si depositano su quell’atmosfera aerea.
L’artista non chiede nessuna traduzione in qualcosa. Quando i filamenti sono disegnati-cuciti-pennellati-tesi-fermati-liquefatti tra tela e fibra il lavoro è concepito come una dimensione non disposta in categorie artistiche; può cercare, in quel silenzio interiore, una tradizione pittorica del passato ricollocata nel ventunesimo secolo.
Nunzio De Martino lavora con una dovizia che trascende dall’estemporaneità, non è casualità quello che si dipana sulla tela, non è la linea che rincorre la mano, ma forse è la mano dell’artista che raggiunge quello che la mano marca; è come se il pittore cambiando le palette del colore e le campiture realizzino scenari di una volumetria che è implosiva ed esplosiva, perché carichi di energia che si rappacifica quando l’occhio si sofferma e cerca di seguire quella curvatura che ha realizzato volume nel disegno scultorio.
Le derivazioni ad altri artisti che come affluenti entrano nel fiume che scorre in Nunzio possono essere molteplici; l’artista incamera con l’occhio e gli altri sensi ogni aspetto giornaliero che si manifesta. Entra in lui questo flusso anche solo percorrendo la strada che lo porta ad aprire lo studio o mentre puntella punto dopo linea, scegliendo pelle sensibile di diversi colori con spessori di trama, ponendo tagli di forme che si allungano sul muro. Il suo lavoro è la scultura nel disegno.
Quando Pollock si piegava, diventava un animale a contatto con una tela vergine, tutto appariva come una sudorazione esterna di quello che ne usciva; non era possibile ripetere e fermarsi, il movimento dell’artista era parte dell’opera. Egli decideva quando l’azione doveva fermarsi, come in moto doloroso ma anche inebriante e continuo. Il presentimento era futuristico, quando l’opera aveva assunto la sua anima, allora si articolava e beneficiava di bellezza.
Guardando le opere è il filo, che si distende come viaggi interstellari di piccole e dense scie di stelle, esse ricadono come ponti tra le diverse galassie, quello che esalta è il tutto e la meraviglia di avvicinarsi e catturare il dettaglio, dove il nero e il bianco s’incastrano come fessure o spazi espansi; è forza per la totalità dello spazio compositivo e le tele di Nunzio sono tutte pittoriche nella loro diversità, una continua relazione tra dettaglio e composizione. Vi è un rigore musicale come una geometria fatta da un pennello senza utilizzare strumentazioni nascoste. Egli ritrova la geometricità di artisti rinascimentali, dove le cromie e le volumetrie appaiono come in Piero della Francesca, che fondavano nel suo tempo la definizione di pittore matematico.
De Martino potrebbe essere fautore di una matematica non rigorosa che attecchisce come la possibilità trasformativa di una formulazione di calcolo dove la progressione è misteriosa e se ha una regola, questa va scovata. Il lavoro di Nunzio De Martino percorre un tragitto di ricerca d’intercettazioni dove ognuno si tuffa con gioia o con sapore amaro secondo come tocca con pelle quella superficie animata.
“L’artista” diceva Jacques Maritain “soffrirebbe ancor più profondamente se il pubblico lo capisse; poiché si domanderebbe se la sua opera non manca di quel di più che, se fosse capito, non potrebbe essere comunicato”.
Dal volume “Chagall” di Walter Erben. Silvana Editori. https://www.paolaricci.com/blog_3a/